Tutti noi siamo in grado di leggere un fumetto, magari con
uno sforzo in più quando si tratta di manga pubblicati nel senso di lettura
originale, ma tutto sommato non abbiamo grossi problemi. Questo perché il
linguaggio utilizzato dal fumetto è ormai talmente universale che il lettore
non si accorge più della sua grammatica, un po’ come una persona dall’ottima
parlantina che non sa cosa sia un pronome dimostrativo.
Scomporre il fumetto nelle sue parti essenziali è un lavoro
complesso, bisogna tenere conto di come nel mondo esse abbiano dato esiti
diversi e di come poi questi esiti si siano influenzati a vicenda. Per fare un
esempio prendiamo l’erronea associazione tra gli “occhi grandi” ed il fumetto
giapponese: questa stilizzazione proviene dall’animazione made in Disney mediata
dall’opera di Osamu Tezuka.
Se il fumetto è la fusione tra testo ed immagini, partiamo
da qualche cosa di molto piccolo con cui tutti siamo famigliari: la
didascalia.
Cos’è?
Semplificando è quella
parte di testo, solitamente rinchiusa da una cornice di forma variabile, che
serve a trasmettere informazioni al lettore.
La didascalia può servire a:
1)
Fornire informazioni sullo spazio o sul tempo;
Ex: “Poco dopo”, “Da un’altra parte”, “In quello stesso momento”, ecc…
2)
Fornire informazioni sulle azioni compiute dai
personaggi; Ex: “Il cowboy sparò”
3)
Fornire informazioni sugli stati d'animo dei
personaggi; Ex: “Si sentì perduta”
4)
Fornire approfondimenti e note sulla vicenda
difficilmente esplicabili in altra forma e/o per motivi di sintesi narrativa;
Ex: “Il mio destino ebbe inizio in un piccolo negozio.”
5)
Esprimere la voce di un personaggio fuori scena;
Molto? Storicamente la didascalia è molto di più.
Prendiamo il caso, tutto particolare, del fumetto italiano. La
nascita del fumetto italiano moderno è convenzionalmente fatta risalire al 27
dicembre 1908, quando, come supplemento al Corriere della Sera, sbarca in edicola il Corriere dei Piccoli. Dico convenzionale perché il fumetto
in Italia già esisteva, così come le riviste per bambini, ne è un esempio il Giornale
per i bambini sulle cui pagine era pubblicato il Pinocchio di Collodi. Il Corrierino tuttavia, a differenza dei
suoi precursori, considera fin da subito il fumetto una presenza centrale,
affidandogli la copertina e non meno di quattro pagine al suo interno.
Il fumetto italiano si distingue per “l’assoluta esclusione del balloon e la consuetudine di accompagnare
ogni immagine con una didascalia di riferimento” (D. Barbieri).
Una tendenza, quella di faticare ad adottare le “nuvolette
parlanti”, condivisa col resto dell’Europa,
specialmente Francia e Gran Bretagna, dove una forte tradizione letteraria
funge probabilmente da freno inibitore alla loro comparsa: le immagini sono
gregarie delle parole, non viceversa.
In questo senso possiamo definire la didascalia come la
storica nemica della nuvoletta.
Un’altra particolarità del fumetto italiano sta nella forma rimata
del contenuto della didascalia: una coppia di versi solitamente in rima baciata
che contribuiva a suggerire “un andamento
da cantastorie” (D.Barbieri).
Le storie importate dall’America venivano dunque smontate e
ritagliate per essere adattate al diverso formato. Uno snaturamento, che rimanda
al più attuale “ribaltamento” delle tavole giapponesi o all’adattamento dei
nomi stranieri.
Abbiamo menzionato prima alcune tra le funzioni principali
della didascalia, dobbiamo però aggiungerne una fondamentale:
Cosa significa?
Questa funzione della didascalia, apparentemente sconosciuta
nel panorama italiano, è assai consolidata nel fumetto americano e giapponese e,
per quanto concerne il primo, sembra una tendenza moderna la cui diffusione
pare risalire agli anni Ottanta.
In sintesi la didascalia assume la funzione normalmente associata
nel fumetto italiano al balloon scontornato a nuvola utilizzato dai personaggi
per esprimere i propri pensieri in presa diretta.
Un cambiamento strutturale enorme:
la didascalia sostituisce ad un narratore onnisciente ed ad una
focalizzazione zero, un narratore omodiegetico ed una focalizzazione interna.
Cioè sostituisce ad un narratore esterno che parla in terza
persona, un narratore interno, con una conoscenza dei fatti limitata, che parla
in prima persona.
Per quanto concerne il manga il discorso si fa più
complesso, in quanto la cornice stessa della didascalia viene spesso a mancare.
Queste “parole in libertà” sono spesso associate alla voce
interiore del personaggio, uno stratagemma narrativo per comunicarci i suoi
pensieri.
Come si fa a distinguere?
I lettori di oggi consumano un prodotto raffinato dal tempo
e dagli sforzi di grandi artisti, siamo ormai abituati ad interpretare strisce
di immagini sequenziali associate ad un testo. Il lettore è consapevole a
livello inconscio degli archetipi associati a questa grammatica ed è in grado
di reinterpretare queste nozioni a seconda dei casi. Un bel passo in avanti se
si considera la necessità del fumetto italiano degli anni Trenta e Quaranta di
sovra -spiegare le vignette.
Alla luce di questi fatti offriamo dunque una nuova
definizione del termine “didascalia”:
lo spazio della voce narrante
( interna ed esterna, onnisciente o meno) atto a fornire al lettore
informazioni inerenti alla vicenda
narrata
*Nota: In un discorso sul fumetto
mondiale che abbraccia diverse decadi, è inevitabile incorrere in
generalizzazioni. L’enorme quantità del materiale in esame sottintende dunque
la presenza di eccezioni e casi limite. E’ mia intenzione fornire in futuro
nuovi approfondimenti sull’argomento alla luce di una più vasta ricerca di
base. Tuttavia considero le linee guida riportate nell’articolo come solide
basi per un discorso futuro.