martedì 15 luglio 2014

La Didascalia

Tutti noi siamo in grado di leggere un fumetto, magari con uno sforzo in più quando si tratta di manga pubblicati nel senso di lettura originale, ma tutto sommato non abbiamo grossi problemi. Questo perché il linguaggio utilizzato dal fumetto è ormai talmente universale che il lettore non si accorge più della sua grammatica, un po’ come una persona dall’ottima parlantina che non sa cosa sia un pronome dimostrativo.

Scomporre il fumetto nelle sue parti essenziali è un lavoro complesso, bisogna tenere conto di come nel mondo esse abbiano dato esiti diversi e di come poi questi esiti si siano influenzati a vicenda. Per fare un esempio prendiamo l’erronea associazione tra gli “occhi grandi” ed il fumetto giapponese: questa stilizzazione proviene dall’animazione made in Disney mediata dall’opera di Osamu Tezuka.  

Se il fumetto è la fusione tra testo ed immagini, partiamo da qualche cosa di molto piccolo con cui tutti siamo famigliari: la didascalia.

Cos’è?
Semplificando è quella parte di testo, solitamente rinchiusa da una cornice di forma variabile, che serve a trasmettere informazioni al lettore.




La didascalia può servire a:

1)      Fornire informazioni sullo spazio o sul tempo; Ex: “Poco dopo”, “Da un’altra parte”, “In quello stesso momento”, ecc…


2)      Fornire informazioni sulle azioni compiute dai personaggi; Ex:  “Il cowboy sparò”

3)      Fornire informazioni sugli stati d'animo dei personaggi; Ex: “Si sentì perduta”

4)      Fornire approfondimenti e note sulla vicenda difficilmente esplicabili in altra forma e/o per motivi di sintesi narrativa; Ex: “Il mio destino ebbe inizio in un piccolo negozio.”


5)      Esprimere la voce di un personaggio fuori scena;

6)      Proseguire un dialogo come narrazione delle immagini in primo piano.



Molto? Storicamente la didascalia è molto di più.

Prendiamo il caso, tutto particolare, del fumetto italiano. La nascita del fumetto italiano moderno è convenzionalmente fatta risalire al 27 dicembre 1908, quando, come supplemento al Corriere della Sera, sbarca in edicola il Corriere dei Piccoli. Dico convenzionale perché il fumetto in Italia già esisteva, così come le riviste per bambini, ne è un esempio  il Giornale per i bambini sulle cui pagine era pubblicato il Pinocchio di Collodi. Il Corrierino tuttavia, a differenza dei suoi precursori, considera fin da subito il fumetto una presenza centrale, affidandogli la copertina e non meno di quattro pagine al suo interno.

Il fumetto italiano si distingue per “l’assoluta esclusione del balloon e la consuetudine di accompagnare ogni immagine con una didascalia di riferimento” (D. Barbieri).

Una tendenza, quella di faticare ad adottare le “nuvolette parlanti”,  condivisa col resto dell’Europa, specialmente Francia e Gran Bretagna, dove una forte tradizione letteraria funge probabilmente da freno inibitore alla loro comparsa: le immagini sono gregarie delle parole, non viceversa.  
In questo senso possiamo definire la didascalia come la storica nemica della nuvoletta.



Un’altra particolarità del fumetto italiano sta nella forma rimata del contenuto della didascalia: una coppia di versi solitamente in rima baciata che contribuiva a suggerire “un andamento da cantastorie” (D.Barbieri).

Le storie importate dall’America venivano dunque smontate e ritagliate per essere adattate al diverso formato. Uno snaturamento, che rimanda al più attuale “ribaltamento” delle tavole giapponesi o all’adattamento dei nomi stranieri.

Abbiamo menzionato prima alcune tra le funzioni principali della didascalia, dobbiamo però aggiungerne una fondamentale:

7)      Esprimere il POV (Point of View) dei personaggi in presa diretta



Cosa significa?
Questa funzione della didascalia, apparentemente sconosciuta nel panorama italiano, è assai consolidata nel fumetto americano e giapponese e, per quanto concerne il primo, sembra una tendenza moderna la cui diffusione pare risalire agli anni Ottanta.

In sintesi la didascalia assume la funzione normalmente associata nel fumetto italiano al balloon scontornato a nuvola utilizzato dai personaggi per esprimere i propri pensieri in presa diretta.

Un cambiamento strutturale enorme:
la didascalia sostituisce ad un narratore onnisciente ed ad una focalizzazione zero, un narratore omodiegetico ed una focalizzazione interna.

Cioè sostituisce ad un narratore esterno che parla in terza persona, un narratore interno, con una conoscenza dei fatti limitata, che parla in prima persona.

Per quanto concerne il manga il discorso si fa più complesso, in quanto la cornice stessa della didascalia viene spesso a mancare.
Queste “parole in libertà” sono spesso associate alla voce interiore del personaggio, uno stratagemma narrativo per comunicarci i suoi pensieri.


Non si tratta di una regola ferrea: queste “didascalie libere” possono riportare una discussione lontana nel tempo o una direttamente in corso, abbandonando quindi il campo di “voce narrante” destinato alla didascalia e sconfinando in quello del balloon.

Come si fa a distinguere?
I lettori di oggi consumano un prodotto raffinato dal tempo e dagli sforzi di grandi artisti, siamo ormai abituati ad interpretare strisce di immagini sequenziali associate ad un testo. Il lettore è consapevole a livello inconscio degli archetipi associati a questa grammatica ed è in grado di reinterpretare queste nozioni a seconda dei casi. Un bel passo in avanti se si considera la necessità del fumetto italiano degli anni Trenta e Quaranta di sovra -spiegare le vignette.

Alla luce di questi fatti offriamo dunque una nuova definizione del termine “didascalia”:
lo spazio della voce narrante ( interna ed esterna, onnisciente o meno) atto a fornire al lettore informazioni inerenti  alla vicenda narrata


*Nota: In un discorso sul fumetto mondiale che abbraccia diverse decadi, è inevitabile incorrere in generalizzazioni. L’enorme quantità del materiale in esame sottintende dunque la presenza di eccezioni e casi limite. E’ mia intenzione fornire in futuro nuovi approfondimenti sull’argomento alla luce di una più vasta ricerca di base. Tuttavia considero le linee guida riportate nell’articolo come solide basi per un discorso futuro. 

lunedì 14 luglio 2014

Will Eisner e Jack Kirby

Se ci sono due disegnatori che hanno segnato l’immaginario fumettistico americano quelli sono Will Eisner e Jack Kirby. Riassumere la loro vita e il loro impatto sulle generazioni future in poche parole non è difficile: è impossibile.  Quello che segue è quindi un ritratto parziale che chi seguirà ad ottobre il corso “Fumetto: un mondo fra le nuvole” avrà modo di approfondire in maniera più accurata.

I Protagonisti

Will Eisner nasce a Brooklyn il 6 marzo del 1917 da famiglia ebrea, pieno di iniziativa e di talento fonda nel 1936 con Jerry Iger lo studio Eisner ed Iger, mentendo sulla propria età col socio e persino sul capitale a loro disposizione (bastante a pagare l’affitto degli uffici solo per il primo mese). Ma i tempi erano maturi, maturi per una nuova concezione del fumetto.  Già dal 1905 con l’uscita di Little Nemo in Slumberland di Winsor McCay il fumetto aveva iniziato a mostrare le sue potenzialità artistiche, ciononostante l’opinione pubblica americana degli anni ’40 lo considerava ancora un forma di intrattenimento di serie B. Effettivamente una parte di quelle ingenue produzioni lo era: è questo il periodo delle serie meteora e delle riviste che esplodono sul mercato per deflagrare nella bancarotta pochi mesi dopo.

Will Eisner è considerato a buona ragione uno tra i primi a considerare il fumetto  una forma d’arte vera e propria. Quasi un controsenso se si considera che lo studio Eisner ed Iger (così come quello di Chesler ed altri a seguire) fu tra i primi ad “applicare il metodo industriale al processo creativo, producendo pagine a fumetti in catena di montaggio” (D. Hajdu).

Kirby per lo studio Eisner e Iger
(apparso in Jumbo Comics#3 novembre 1938)
Come funzionava? Solitamente Eisner (più raramente Iger) ideava un personaggio, ne reclamava la paternità e procedeva a passarne lo sviluppo alla scrittrice Audrey “Tony” Blum. A questo punto un disegnatore trasformava la storia scritta a macchine nella bozza del fumetto (spesso Eisner o Bob Powell) per poi consegnarla ad altri artisti che si sarebbero occupati di trasformare i bozzetti nell’opera definitiva dividendosi il compito tra personaggi principali, secondari ed ambienti.  In conclusione un ultimo uomo (o donna) inchiostrava il tutto, uniformando i contenuti dei diversi artisti, mentre il colore veniva aggiunto da uno studio esterno seguendo le linee cromatiche fornite da Eisner. Un prodotto forse un po’ ingenuo se si considerano le produzioni successive di Eisner, ma che comunque si rivelò sul mercato innovativo e vincente: “il mondo di Eisner sembrava più reale del mondo degli altri autori di fumetti perché somigliava molto di più ad un film” (J. Feiffer).

Nello studio Eisner ed Iger passano alcuni grandi nomi della storia del fumetto come Bob Kane (Batman) e Jack “the king” Kirby, probabilmente il disegnatore più influente di sempre del genere supereroistico americano.

La nascita del genere supereroistico viene tradizionalmente fatta coincidere con l’uscita del primo numero di Action Comics nel giugno del 1938 e più precisamente con la comparsa del suo eroe di copertina: Superman.
Superman non nasce dal nulla, ha ascendenti più o meno nobili nella fantasia popolare (Tarzan, Zorro) ed antenati nei comics recenti (Mandrake, The Phantom). La vera straordinarietà sta nel suo deflagrante successo che porterà ben presto al diffondersi di copie carbone più o meno riuscite. E’ la Golden Age del comic book, i supereroi sono ovunque.

Chi è Jack Kirby?

Jack Kirby, cioè Jacob Kurtzberg, nasce a New York il 28 agosto del 1917 anche lui, come Eisner, da una famiglia di ebrei immigrati. Come molti autori del periodo, Kirby non frequenta istituti prestigiosi, ma impara (così come farà Moore più avanti) ricopiando i fumetti da lui amati, in particolari quelli di Foster, Caniff e Raymond. Inizia a lavorare molto presto e tra l’altro, come già detto, approda nello studio di Eisner con il quale forma un’amicizia destinata a durare una vita.
Inizia ad esplorare la narrativa supereroistica abbastanza presto nel 1940 con Blue Beetle, di questo periodo è anche l’incontro con l’autore Joe Simon con il quale creerà lo stesso anno per la Timely Comics (la futura Marvel) un personaggio destinato ad entrare nell’immaginario americano per restarci: Capitan America.

Gli anni Trenta non potevano durare per sempre e allo scoppiare del conflitto mondiale sia Eisner che Kirby sono arruolati e destinati rispettivamente al reparto Comunicazioni in patria ed alle prime linee della Fanteria in Francia, dove Kirby sarà impegnato nelle truppe di ricognizione.

Se il fato ha portato Eisner ad essere il maestro indiscusso degli anni Trenta e Quaranta, il suo ritiro dalla scena del fumetto ha quasi dell’incredibile: nel ’52 termina The Spirit (fumetto che ha più da spartire col poliziesco che col genere supereroico e probabilmente il momento più alto della produzione del primo Eisner).  Eisner si dedicherà a tempo pieno al suo lavoro per il Ministero della Difesa producendo materiale didattico per l’esercito, si tornerà a parlare di lui negli anni Settanta quando inventerà il formato graphic novel.

Ma è il periodo che abbraccia gli anni dal 1958 al 1970, la Silver Age del comics americano a consacrare Kirby (sebbene a posteriori) come il re del fumetto supereroico.
Dopo svariate collaborazione con diverse case editrici (tra cui la Harvey e la DC) e la fine della storica collaborazione con Joe Simon, Kirby ritorna alla Timely, ora Marvel, e con Stanley Martin Lieber (meglio noto come Stan Lee) forma il binomio disegnatore/sceneggiatore forse più noto del fumetto americano.

L’uscita del primo numero de “I Fantastici Quattro” nel novembre del 1961 diventa una data imprescindibile per studiosi ed appassionati:  il mondo dei supereroi è cambiato per sempre.
Dalla collaborazione tra Lee e Kirby nascono gli eroi del nostro immaginario: Thor, Hulk, Iron Man, gli X-Men (la prima formazione almeno), Silver Surfer, Pantera Nera, Galactus. Lo stesso Capitan America, dopo una controversa questione sui diritti d’autore con Joe Simon, viene reincorporato nelle storie della “Casa delle idee”, casa che Kirby lascerà al tramonto della Silver Age per la rivale DC.



Lo Stile

Eisner e Kirby hanno in comune la stessa fonte di ispirazione: il cinema di Hollywood degli anni Trenta e Quaranta.  Tuttavia il modo di concretizzare le lezioni apprese dal cinema non avrebbero potuto dare esiti più diversi.


<< Kirby conservò una struttura della pagina relativamente convenzionale, una griglia standard composta da elementi quadrati e rettangolari; Eisner invece, elaborò e trasformò la struttura delle vignette quasi sin dall’inizio, raccontando le sue storie attraverso prosceni assolutamente non convenzionali […]. Kirby portò la figura umana  e il mondo fisico a intensità titaniche, pur aderendo a una sorta di manuale della realtà. I suoi personaggi erano […] al pari degli dei dell’antichità da cui traeva ispirazione, ma il suo simbolismo era allegorico e non astratto. Eisner distorceva regolarmente forme e proporzioni secondo modalità che indicavano al lettore che la realtà non veniva rappresentata, bensì rifratta. >> (A. McGovern)


 

Eisner trova “le scatole” in cui il fumetto si è costretto piuttosto limitanti e dedica gran parte del suo lavoro alla missione di sgretolarle.  Un primo esempio si ha nella configurazione del titolo di The Spirit scomposto e ricomposto in orologi, pietre o grattacieli. Un altro caso interessante all’interno di The Spirit è rappresentato dalla storia “Killer McNobby” del 1 giugno del 1941, completamente priva di balloon così come della tipica divisione in vignette ed  interamente scritta in versi fusi con le principali linee d’azione.
 

Kirby, viceversa, “lavora nelle scatole” sfruttando appieno il loro potenziale narrativo e concentrando la sua attenzione sulle immagini facendole esplodere dalla vignetta, cariche di un dinamismo assolutamente nuovo. E’ di Kirby, per esempio, il perfezionamento della splash page: cioè dell’utilizzo di una pagina intera (o due) che offre “un’immagine panoramica che evoca le inquadrature widescreen dell’epoca” (A. McGovern). Tutto in Kirby è colossale, grandioso ed in movimento, insomma, nello spirito, incredibilmente cinematografico.


McGovern nel suo articolo “Lo Spirito di Frontiera. Will Eisner verso la Nuova dimensione del fumetto” offre probabilmente la miglior sintesi possibile dello stile di questi due autori: “Kirby applicò la sua creatività a ciò che il fumetto poteva dire, Eisner lo fece per ciò che il fumetto poteva mostrare.”

venerdì 11 luglio 2014

In edicola: Real Life


Perché a forza di parlare di storia si finisce per dimenticare di starla vivendo, cerchiamo di conoscere le nuove pubblicazioni.
Real Life. Cos’è?
Si tratta del nuovo fumetto made in Disney, il cui numero uno è sbarcato in edicola questo giugno incasellandosi perfettamente nel panorama disneyano italiano di produzioni alternative a topi e paperi come per i fortunati Witch e Monster Allergy.
Di cosa parla?
Real Life parla di tre ragazze, stessa scuola, vite diametralmente opposte: Amber, la reginetta dei social network, Andrea, leonessa nella pallavolo disastro in tutti gli altri campi ed Andrea, genietto della scienza, con l’animo di un’artista.


Tre ragazze, stessa scuola e stessa ora di punizione, in biblioteca con un computer disponibile e da lì l’idea di creare un profilo fasullo su Real Life (la versione in questo fumetto di Facebook). Thomas Anderson, un nome buttato lì per lì, con un disegno per foto-profilo e per contorno tutto quello che le tre hanno sempre voluto dal loro ragazzo ideale.
Un bel sogno già… almeno fino a quando il ragazzo “inventato” non si presenta a scuola il giorno dopo.
Coincidenza? Magia? E soprattutto: cosa fare?
Per saperne di più non resta che correre in edicola, agguantare eventuali arretrati e scoprirlo da sé.
Graficamente il fumetto è estremamente gradevole. I colori nitidi si sposano perfettamente con lo stile di disegno che risulta limpido e capace di trasmettere con forte chiarezza gli stati d’animo dei personaggi principali e non.


Da sottolineare: l’uso moderno delle vignette, che scappano dalla griglia classica per aprirsi e chiudersi adattandosi alla pagina, lo stratagemma dei finti messaggi  online e la presenza fuori vignetta di versioni “chibizzate” dei personaggi principali per comunicarne le emozioni.
Proprio per questa sua “modernità” narrativa, la serie in alcune occasioni fatica a prendere il largo a causa della lettura troppo appesantita dalla sequela di commenti fuori campo.


Il secondo numero (attualmente in edicola) “Io sono Giulietta”,  si riscatta da buona parte degli handicap riscontrati nel primo: la lettura risulta infatti più chiara e la storia arriva a toccare momenti di notevole profondità espressiva.

In sintesi, Real Life è una creatura giovane a cui bisogna dare fiducia… io almeno farò così.




martedì 8 luglio 2014

Conosci i tuoi fumetti: Shingeki no Kyojin


Shingeki no Kyojin, noto in Italia con la traduzione alquanto libera “L’attacco dei giganti”, è un manga firmato Hajime Isayama e pubblicato dalla rivista Bessatsu Shonen Magazine dal 9 settembre 2009.
Il manga tratteggia nella migliore tradizione dei romanzi distopici, un mondo dove, in seguito all’attacco di terribili mostri, detti Titani, l’umanità si è rifugiata all’interno di mura colossali e da lì prosegue la sua triste esistenza. Per 100 anni almeno, fino a che l’apparizione di un gigante colossale cambia per sempre il corso della storia, sfondando la prima cerchia di mura e gettando il disfunzionale ecosistema umano nel panico.
Su questa premessa la trama si concentra sulle peripezie di Eren, Mikasa ed Armin, tre ragazzi che hanno assistito in prima persona alla tragica comparsa dei titani entro le mura, per poi spostare via, via il proprio focus anche sulle altre reclute del 104° impegnate nella lotta contro i titani.
La serie si distingue per lo straordinario realismo molto lontano dalle tipiche convenzioni del genere shonen. L’idealismo portato all’estremo, viene mostrato nelle sue accezioni più negative ed i personaggi si muovono all’interno della storia guidati dalle proprie motivazioni personali spesso di natura fortemente egoistica ed in contrasto con quelle degli altri protagonisti. Il compito di giudicarli viene lasciato esclusivamente al lettore, mentre l’autore si distanzia nettamente dal conferire alla serie un taglio “buoni contro cattivi”.

Sembra strano definire “realistica” una storia che fa del suo centro (almeno inizialmente) lo scontro tra l’umanità e mostri giganti, ma è proprio degli esseri umani che parla Shingeki no Kyojin e lo fa con una delicatezza che non scade nel morboso.
Forse è proprio a questo che va attribuito l’incredibile successo che la serie sta riscuotendo in patria ed all’estero, in particolare negli Stati Uniti dove è esplosa una vera e propria Titan mania. L’adattamento animato dei Wit Studio, andato in onda dal 6 aprile 2013, rappresenta in questo senso, la consacrazione più completa.

Con una serie di Light Novel, due spin-off in corso ed un adattamento cinematografico in produzione, i titani si diffondono dunque in ogni forma mediatica.



Due note sullo stile...
Lo stile di disegno di Hajime Isayama è molto lontano dal tratto pulito e fluido dello stile shonen più mainstream. E’ sporco e non ha niente da spartire coi virtuosismi grafici dei contemporanei Kubo o Kishimoto, tanto da essere accusato da alcuni di “non saper disegnare”. Accuse che passano in secondo piano se messe a confronto con l’incredibile capacità registica di Isayama: uno storyteller decisamente fuori dal comune, capace di sfruttare il taglio stesso delle vignette per trasmettere informazioni e creare paralleli.
Shingeki no Kyojin, con la sua struttura narrativa iniziale di continui flashback e shoccanti colpi di scena, è una serie fatta per essere letta e riletta. Il lavoro del lettore di “connettere i puntini” è continuo, ma è una fatica che non stanca e anzi lascia in bocca quella soddisfazione che solo le grandi storie sanno dare.